Palazzo Assessorile: STRENNA TRENTINA 2010
pubblicato su: STRENNA TRENTINA 2010
IL CARCERE DI PALAZZO ASSESSORILE E GLI APPARTAMENTI CLESIANI
Un grande patrimonio ritrovato con il recente restauro
Una magnifica anomalia… così si può definire la presenza a Palazzo Assessorile del grandioso ciclo di affreschi fogoliniani di metà Cinquecento. In realtà questa premessa racchiude in sé tutta una serie di contenuti e di conoscenze che non possono essere date per scontate, ma che sono emerse prevalentemente con i lavori di restauro conclusi nel marzo scorso e durati cinque anni.
Per la verità che Palazzo Assessorile non fosse mai stato concepito come una residenza signorile era già ben noto e che le sue funzioni fossero sempre state più simili a quelle di un palazzo civico è altrettanto risaputo. L’edificio infatti nasce più o meno nel Duecento come una casa-torre per scopi di avvistamento, di ponte ottico e per la conservazione e custodia di merci e derrate alimentari. Di proprietà della famiglia de Cles, la torre era indubbiamente presidiata da un drappello di guardie. E’ nel Quattrocento però che la cortina muraria circostante diventa il perimetro del nuovo palazzo ed è nella seconda metà dello stesso secolo che l’edificio assume le attuali forme massicce ed eloquenti. Esso infatti doveva accogliere la sede del Capitano delle Valli di Non e di Sole, carica che in quel periodo era ricoperta da Giorgio de Cles, senz’altro il più illustre rappresentante della famiglia dopo il “clesio”.
Evidentemente vi era la necessità di riconoscere e identificare la sede del Capitano che non poteva essere confusa con il castello di proprietà dei signori. Questo soprattutto perché il Capitano amministrava anche la giustizia per conto del vescovo, attività che poco si addiceva alle signorili residenze private. Ecco quindi che il palazzo diventa sede dell’Assessore delle valli, cioè del notabile che gestiva le procedure giudiziarie per conto del Capitano ed ecco che di fatto, Palazzo Assessorile diventa a tutti gli effetti un palazzo di giustizia. Nel 1677 poi l’immobile, con la sua funzione, passa sotto la diretta proprietà della “…magnifica comunità di Cles…” che ne è tuttora proprietaria ed è solo nel 1975 che si trasferiscono altrove le ultime celle del carcere, rimasto da sempre al terzo piano.
Già prima del restauro erano apprezzabili al secondo piano i notevoli affreschi di Marcello Fogolino che dominano la Sala del Consiglio, il Salotto di Aliprando, il vestibolo e l’erker, essi erano riconducibili al periodo di capitanato di Aliprando de Cles, durante la prima metà del Cinquecento. Egli aveva coinvolto la bottega del Fogolino al termine del lavoro al Magno Palazzo per conto dello zio: il cardinale Bernardo Clesio. Le decorazioni a grottesca sono un inno alla magnificenza della famiglia de Cles e a quella dello stesso Aliprando, alcuni riferimenti poi sono chiaramente pensati sui temi della giustizia e del giudizio, seppure vi siano ancora parecchie cose da scoprire in merito. D'altronde la grottesca è sempre facile da apprezzare, ma molto difficile da decifrare.
Con le nuove scoperte al terzo piano, in occasione appunto del recente restauro, tutto si complica maggiormente e prende forma di fatto quella “magnifica anomalia” di cui si parlava all’inizio. Sotto il tavolato di larice che rivestiva le celle carcerarie del terzo piano infatti, sono emersi due nuovi cicli d’affresco, persi nei meandri del penitenziario, fino a quando con la riorganizzazione carceraria del 1814 non vennero completamente occultati e dimenticati. Si tratta di decorazioni che rendono nobile anche il terzo piano a testimonianza di una residenza che rappresenta di fatto l’anomalia. Aliprando de Cles infatti, ma soprattutto la sua consorte Anna Wolkenstein allestirono a Palazzo Assessorile i loro appartamenti, seppure continuassero a utilizzare il grandioso castello di famiglia e seppure avessero un seguito di ben 12 figli. Ma cosa ci facessero degli appartamenti in quel palazzo è di per sé la domanda che gli esperti si sono fatti fin da subito e la cui risposta rimane ancora piuttosto imprecisa. Peraltro con il terzo piano riemerge la magnifica figura della baronessa Anna Wolkenstein, una grande donna la cui personalità e determinazione sono testimoniate anche dagli stessi affreschi delle sue stanze.
Sono tre in particolare i locali che sorprendono al terzo piano. Il primo è la Stanza degli Dei, in cui campeggiano Marte, Diana e Giove attorniati dalle allegorie della guerra, della caccia e del potere con paffuti amorini, spettacolari levrieri e mostruose creature immaginarie. Il secondo è la Stanza di Apollo, in cui dominano le pregiate tappezzerie dipinte, coronate dai mezzi busti di Agrippina, di Geta e di Apollo in una rievocazione del gusto archeologico romano di chiara ispirazione rinascimentale. La terza è la meravigliosa Stanza di Anna, interamente dedicata alla baronessa, il cui monogramma è ripetuto continuamente sulle pareti ed è custodito dai leoni bianchi e rossi dello stemma clesiano. Ma le magnifiche rappresentazioni sommitali tratte dalle Metamorfosi di Ovidio e descritte come dei bassorilievi rossi in campo blu sono a dir poco stupefacenti. Spicca in particolare il riquadro che racconta della “Caccia al cinghiale Calidone”, ma domina tutto il locale la parata della corte clesiana che si stringe in una battuta di caccia col falcone attorno alla contessa Anna, al cui fianco non manca la figura di Aliprando. La coppia infatti doveva essere molto affiatata e gli stemmi delle due famiglie legati dalla grafica araldica in modo indissolubile, sono sparsi un po’ in tutto il palazzo. Il Fogolino anche in queste tre stanze ha dimostrato la sua grande preparazione tecnica ma anche quella della sua stessa bottega che a palazzo lavora con diverse mani.
Nelle stanze più interne del terzo piano però, da sotto il tavolato, è riemerso un particolarissimo ciclo d’affresco tardo cinquecentesco che ha lasciato tutti quanto meno sbalorditi. Si tratta infatti di un ciclo biblico, dal carattere didascalico tanto che le scene numerose tratte dall’Antico Testamento sono accompagnate da iscrizioni in tedesco che riferiscono il titolo del riquadro e il riferimento bibliografico da cui sono tratte. Non siamo certo di fronte alla maestria del Fogolino, si tratta invece di un maestro nordico che non domina completamente la prospettiva e la profondità rinascimentali, ma che si dimostra al contrario molto preparato nell’organizzazione scenica, nella minuziosità dei particolari, nella cura degli abbigliamenti e in genere nella maestosità delle raffigurazioni. Spiccano peraltro anche i paramenti a motivi geometrici delle pareti che sono indubbiamente ben eseguiti e persuasivi.
Ma come abbiamo detto fin dall’inizio tutto lo splendore di queste raffigurazioni non è che un’anomalia nella storia del palazzo e non è un caso quindi che i muri delle celle che trasudano la sofferenza di migliaia di reclusi in almeno quattro secoli di uso a carcere, portino tangibili le tracce e la testimonianza di questi poveri cristi. Innumerevoli sono infatti le iscrizioni e i disegni incisi nell’intonaco dipinto con qualche piccolo oggetto o con qualche pezzo di legno di cui disponevano. All’interno delle celle infatti si accendevano addirittura dei fuochi per non morire di freddo, ma il paradosso procurato dall’eleganza degli affreschi all’interno delle prigioni è tuttora chiaro e visibile. Molte frasi di rammarico, di protesta, di rivendicazione, di dolore, di sofferenza e di morte, sono in esposizione proprio al fianco degli affreschi del Fogolino e sono ormai parte della tortuosa storia del palazzo. Date…, nomi… e la voglia di rimanere aggrappati a un minimo di speranza sono leggibili ovunque. Ma ci sono anche annunci di impiccagioni e di esecuzioni di massa, il tutto in un contesto meravigliosamente dipinto che racchiude in sé le diverse facce di una società fatta di agi e di sofferenze, fatta di giustizia e di tortura, fatta di vita e di morte… oggi come allora.
Ecco quindi che il terzo piano di Palazzo Assessorile diventa un importante luogo di studio artistico ma anche storico ed è indubbiamente un patrimonio unico e irripetibile proprio per la concomitanza particolare di diversi usi. Il carcere e gli appartamenti clesiani, le iscrizioni e gli affreschi, tutto ciò torna in luce e rientra finalmente nel grande patrimonio storico e artistico di Cles e del Trentino. Come in un tempio però non succeda che lo splendore abbagliante degli affreschi sovrasti il grido discreto degli uomini, non sarebbe rispettoso per chi è stato torturato là dentro, per chi ha visto la morte e nemmeno per chi l’ha scampata anche solo per un pelo. Non sarebbe giusto.
Arch. Ruggero Mucchi